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Guerra e Pace – Stagione 2, Episodio 3: Finché c’è vita c’è Speranskij

Tutto quello che Pierre si era ripromesso di realizzare nelle sue proprietà salvo arrestarsi alle sole buone intenzioni, il Principe Andrea riesce a realizzare col suo piglio pratico e intelletto fino: da la libertà ai suoi servi della gleba, li assume come liberi contadini e assicura assistenza alle partorienti e educazione ai figli dei domestici. Dedicando il suo tempo alla gestione della tenuta in campagna, Andrea si perde nella contemplazione della natura, in particolare di una quercia nodosa e imponente e si identifica con lei: ecco io sono come quella quercia, mi stanno sul cazzo tutti gli alberi attorno a me e la mia vita non avrà mai più una gioia. Con un pretesto qualsiasi Tolstoj fa sostare il principe Andrea nella tenuta dei Rostov a Otradnoe; qui il principe si stupisce della giovane Natascia non solo per la sua allegria quando la vede correre nel prato o per il suo entusiasmo quando, origliando dal piano di sotto, la sente celebrare la bellezza travolgente di una notte di luna piena… Ma anche e soprattutto perché in entrambe le occasioni, Natascia non se lo fila di striscio né si accorge di lui. ‘Sta roba lo devasta, facendolo tornare a casa convinto di essere l’uomo invisibile. Finché sulla via del ritorno non rivede la quercia, la riconosce a malapena perchè ora è piena di gemme pronte a rifiorire e siccome il transfert vegetale era ormai completo Andrea si risolve: basta lagne, i trenta sono i nuovi venti, non mi basta essere il solo a sapere di me, tutti mi devono conoscere… specialmente quella cazzo di bambina Rostov!”

Andrea decide cosi di andare a Pietroburgo a proporre una riforma militare al cattivissimo ministro della guerra che boccia il progetto su due piedi ma propone Bolkonskij come membro del comitato di revisione del codice militare. Questo suo ritorno a Pietroburgo viene vissuto come occasione per rinnovare gli intrecci sociali, con i più anziani che lo guardano con simpatia per rispetto del vecchio padre ma sempre con un sopracciglio alzato per via delle innovazioni apportate ai suoi fondi; le donzelle invece non possono sfuggire alla calamita romantica di un uomo ricco, intelligente, dato per morto in guerra e redivivo nonché vedovo in tragiche circostanza. Andrea si riscopre interessatissimo alla misteriosa figura del segretario di stato, Speranskij, uomo pallido e astuto che aveva proposto una riforma che prometteva di scompigliare l’alta società russa rivedendo certi diritti acquisiti della nobiltà; e proprio in occasione di un evento sociale i due si incontrano e si riconoscono subito come anime affini, visto il palese disprezzo provato per tutte le altre “nullità” nella stanza. Andrea che già si sente presissimo dal diafano interlocutore contesta la riforma di Speranskij per non mostrarsi subito un fanboy, ma Speranskij lo capisce al volo e sconfigge in una manciata di frasi come a dire “davvero, non c’è bisogno che fai così…ci siamo capiti.” Il sodalizio fra i due non solo porta alla rapida conferma della nomina come membro del comitato del codice militare ma anche di una sottocommissione incaricata di proporre nuove leggi prendendo a modello il codice napoleonico.

“La vita è come una scatola di querce: non sai mai quale bambina ti snobberà” cit. Andrea Bolkonskij

Lì dove Bolkonskij si fa nuovi amici, Bezuchov li va perdendo: quando nel 1808 Pierre torna a Pietroburgo diventa “involontariamente” (come sempre nella sua vita) capo della massoneria cittadina ma malgrado si preoccupi di finanziare tutti i progetti dell’organizzazione si rende presto conto che per la massoneria locale era più una questione di forma che di sostanza perciò decide di andare all’estero ad apprendere i misteri più arcani dell’ordine (qui Tolstoj è vaghissimo). Quando torna piazza un discorso super illuminista in una plenaria proponendo grandi riforme per l’ordine e scatenando il panico nella loggia, proposta alla quale il gran maestro risponde con una sonora pernacchia. Chiusa anche questa parentesi da fratello massone, Pierre torna a casa depresso e decide di scrivere al suo “maker” Osip Alexseevic il quale si era ritirato a vita privata. Osip gli ricorda quali sono le tre regole del Fight Club: 1) proteggere i misteri; 2) purificazione ed evoluzione di sé; 3) il progetto per il perfezionamento dell’uomo. La risposta arriva con tempismo perfetto proprio quando la suocera prega Pierre di riammettere la moglie Elena nella sua vita, in quanto addoloratissima dalla situazione. Mentre noi immaginiamo con quanti giovanotti si sia addolorata Elena nel frattempo, Pierre decide di seguire i precetti massonici, rassicura dunque la moglie sul fatto che non ha nulla da perdonarle e la riprende in casa. Su due piani diversi però.

Osip Alxseevic, ricordando a Pierre le priorità

Anche in casa Rostov ci sono grandi novità. Complici le scelte di vita cazzone del figlio Nicola, la famiglia si trova in ristrettezze economiche tanto che il vecchio conte decide di lasciare Mosca e recarsi con la famiglia a Pietroburgo per un lavoro d’ufficio. Fuori dall’ecosistema di Mosca i Rostov vengono cortesemente emarginati dai loro pari con qualche eccezione fra cui Pierre, Boris e Berg. “Chi è Berg?” ci chiediamo tutti e siccome siamo sicuri sia stato nominato perché si cita la battaglia di Austerlitz ma allo stesso tempo Tolstoj si rende conto che non possiamo memorizzare ogni stronzo apparso fin qui, ecco che ci fa un breve ritratto: Berg è uno pratico, molto pratico, praticissimo; ha fatto carriera ripetendo così tante volte e in modo così convincente le sue insulse gesta sul campo di battaglia che i superiori si sono convinti meritassero una promozione; e per mero calcolo (lui ha il grado, lei posizione sociale) decide di puntare Vera, la figlia più grande dei Rostov che nessuno, fra i Rostov, si è mai cagato davvero; e questo suo progetto lo condivide con un tale che chiama amico solo perchè ha visto che gli altri esseri umani trovano opportuno chiamare delle persone prossime come “amici” (cit. “Verrete da noi…” proseguì Berg e voleva dire “a pranzo da noi” ma ci ripensò e disse: “a prendere il tè”). E da gran pragmatico quale è, Berg dopo aver chiesto la mano di Vera si reca dal vecchio Rostov per assicurarsi che parte della dote possa essere pagata in contanti, subito “Sennò come posso avere la certezza di poter soddisfare le necessità di Vera”; Rostov-padre nicchia, sorride sudando freddo e assicura quanto richiesto dal futuro genero, correndo a vendere l’argenteria.

Nel 1810 viene indetto un grande ballo solenne,  l’evento sociale del secolo. Anche i Rostov sono invitati e i preparativi  sono  frenetici. L’emozione di Natascia si abbatte però contro la posizione satellitare dei Rostov in città, lei e la cugina Sonia si ritrovano appoggiate alla parete in attesa di un invito che non arriva mai. Boris -potremmo dire l’ex innamorato della piccola- non si degna di guardarle, ormai preso dalla scalata sociale, e quando Vera e Berg gli si avvicinano, Natascia sbuffa per l’inopportunità di fare comunella familiare a un party. Fortunatamente Pierre, che nella sua vacuità ha anche dei colpi di genio, invita Andrea, indaffarato in chiacchiere politiche, a lanciarsi nelle danze con Natascia. Andrea la riconosce subito, è la bambina delle cui attenzioni aveva sentito un inspiegabile bisogno quando era andato in visita dai Rostov. Nell’imbarazzo di tutti i Rostov, Andrea invita Natascia a ballare e ne nasce l’alchimia perfetta. I due ballano con tale energia e grazia che tutti gli ospiti smettono persino di guardare l’imperatore ballare con Elena Bezuchov (Elena che, parafrasando Tolstoj, per quanto bellissima, se l’erano già fatta tutti con gli occhi da così tanto tempo che non sapeva più di novità).

Le danze continuano con vari accompagnatori, Natascia celebra proprio come desiderava il lancio in società ed Andrea, preso a sedersi ansimante, capisce: “mi sono innamorato”. E qua mettiamo subito il disclaimer “eh beh, cose d’ altri tempi” sulla questione “stacco di età fra i due” che è comunque così consistente che anche i personaggi del libro fanno un po’ fatica a processare.

Dal giorno dopo Andrea è ospite fisso a casa Rostov, inevitabilmente apprezza la genuinità della famiglia e viene completamente rapito dall’innocenze intelligenza della piccola Natascia, le maglie del destino si stringono un’altra volta finchè diventa chiaro che la proposta è ormai questione di giorni (“Mamma, ma non è di cattivo gusto sposare un vedovo?”). Andrea, supportato da Pierre, decide così di parlarne col padre, il vecchio principe Nickolaj, il quale reagisce con un sommesso: “ma non potete farmi crepare di vecchiaia prima di fare ‘ste piroette da soap opera?” e poi per scoraggiare figlio, gli impone di aspettare un anno prima do formalizzare la cosa, per mettere alla prova i sentimenti di entrambi.

La proposta viene quindi fatta corredata dalla condizione imposta dal Principe e viene accettata dai Rostov. Andrea rassicura Natascia dicendole che sarà libera di cambiare idea in qualsiasi momento, ma anche lei è ormai innamoratissima e passano il tempo a rintracciare tutti gli indizi che la loro unione fosse predestinata: che caso esserci trasferiti a Pietroburgo nello stesso periodo; ed è incredibile la nostra somiglianza; e che curioso l’essere venuto nella tenuta dei Rostov a Otradnoe; e quella volta che sul campo Andrea ha incontrato il giovane Nicola Rostov e lo ha trattato da perfetto imbecille, quale effettivamente è!

Che dire… L’idea di accoppiare i personaggi più intelligenti e onesti del libro, sembra una mossa acutissima, ma considerando quanto durano in media le coppie gestite da Tolstoj, non ci mettiamo le mani sul fuoco.

Citazione:

Pierre aveva ragione quando gli diceva che bisogna credere nella possibilità della felicità per essere felici. “Io adesso ci credo. Lasciamo ai morti seppellire i morti. Finché sono vivo devo vivere ed essere felice.”

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