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Il mio 2023 in videogiochi – Parte 2/2

Seconda parte del mio “catalogo” di giochi del 2023 che stranamente quest’anno è stato particolarmente proficuo.

Night in the wood (Infinite Fall, 2017)

“Una graziosa avventura con animaletti antropomorfi disegnati come in un cartone di Nickelodeon” mi sono detto, “che male potrà mai farmi?” E invece le vicende della gattina Mae, tornata nella cittadina d’origine Possum Spring dopo aver mollato l’università, si sono rivelate davvero dure da digerire. La storia parte infatti come un’avventura coming-of-age, con la protagonista costretta a reinserirsi nel tessuto sociale di un paesino di provincia in declino e dall’economia stagnante a causa la chiusura delle miniere locali; quindi con tutte le difficoltà di riallacciare i rapporti con i vecchi amici che non avevano avuto la sua stessa chance di fuga, restando a galla in una vita fatta apparentemente di tanti “oggi” senza prospettive di un inaspettato “domani” foriero di novità.  Già in questa prima fase, in questa riscoperta e ricostruzione della propria identità a seguito di una grave crisi personale, in un luogo dove tutto sembra non muoversi mai, Night in the Woods gioca il suo primo azzardo: ogni giorno Mae dovrà decidere con quale dei suoi due amici vorrà passare la giornata (e quindi con quale dei due legare di più), Bea un coccodrillo sempre sulla difensiva amante delle sigarette, oppure Gregg  una volpe erratica e sempre su di giri, di solito accompagnato dal suo ragazzo Angus. Ogni scelta esclude l’altra per cui è necessario giocare almeno due volte per vedere tutti i contenuti… certo, se si riesce a reggere il mood del gioco. Io per esempio ho dovuto forzarmi a continuare e non per demerito del titolo ma perché l’atmosfera decadente ricercata dagli sviluppatori è così ben riuscita che finiva per impattare sul mio umore a fine giornata. A ciò si aggiunga che senza preavviso alcuno l’avventura scivola nel thriller investigativo sconfinando poi nell’horror fantastico, creando un contrasto brillante con lo stile artistico scelto ma in qualche modo acuendo per me un senso di “tradimento” per avermi portato in “luoghi narrativi” in cui non avevo alcuna intenzione di andare. Anche in questo caso non sono affatto pentito, ma appunto non lo rigiocherei mai.

Yoku’s island express (Villa gorilla, 2018)

Che succede quando il postino di una coloratissima isola tropicale (uno pterodattilo…) decide di andare in pensione rischiando di mandare al collasso l’intero sistema di corrispondenza? Ma ovvio! Si assume un nuovo postino, ovvero uno scarabeo stercorario di nome Yoku che si trascina dietro una pallina, perfetta per essere sbalzata a destra e sinistra come se l’intera isola fosse un enorme flipper. Eh sì, perché Yoku’s Island Express, altro non è che un -pausa drammatica- “pinball-metroidvania”. Un cosa? Già… è un gioco di flipper con una grande e intricata mappa in 2D tipica dei metroidvania. Fra un rimbalzo e l’altro, Yoku incapperà in una moltitudine di personaggi e situazioni una più assurda dell’altra, pronto ovviamente a risolvere i problemi di tutti e proteggere l’antica divinità che protegge l’isola. Con la propria pallina schizzeremo freneticamente nel verde di fitte foreste, lungo cascate cornate da arcobaleni, attraverso templi sepolti, su picchi innevati che infrangono il tetto di nubi e così via. Yoku’s island mi ha riportato all’infanzia e alla spensieratezza dei simulatori di flipper degli anni 90, il tutto però associato ad uno spiritoso senso dell’avventura e a delle scelte artistiche ricche di gusto, con fondali che sembrano dipinti a mano. Personalmente avrei sfruttato di più il tema della consegna delle lettere, che finisce per essere più che altro un pretesto.

The Last Campfire (Hello Games, 2020)

The Last Campfire è un grazioso puzzle game “tascabile”, nel senso più gradevole del termine: ha la durata e la difficoltà giuste per le sue pretese. Narra le vicende di un “tizzone” perduto, una figurina incappucciata che si avventura in una terra di “trapasso”, per risvegliare i suoi simili, sperduti come lei ma ormai rassegnati, in modo da ravvivare la loro fiamma così da guidarli verso i prossimi step del proprio cammino. Ma non tutti i “tizzoni” sono in grado di riprendere il viaggio e alcuni forse hanno un proprio interesse ad ostacolarlo. Vento, acqua, fuoco e magnetismo giocheranno un ruolo essenziale nei vari puzzle ambientali che costellano il gioco, con una difficoltà che cresce in modo graduale e controllato. Il vivace mondo low-poli di TLC è prevedibilmente popolato da creature fantastiche e buffe (uomini uccello, maiali e rane giganti) e anche se il mood del gioco -viste anche le tematiche che affronta- è chiaramente mesto, in nessun momento appesantisce il giocatore, ma anzi è un continuo invito alla scoperta. Un ottimo “snack” videoludico per l’autunno.

Creaks (Amanita Desing, 2020)

Dopo Machinarium e Botanicula non avevo ancora avuto occasione di ritornare a giocare ad un titolo dello studio Ceco. Quello che temevo (specie dopo Night in the Woods) era di ritrovarmi fra le mani un altro gioco dalle atmosfere inquietanti e deprimenti, come il materiale promozionale apparentemente suggeriva. E invece mi sono trovato di fronte ad un puzzle game appassionante e dalle sfumature comiche, il tutto disegnato a mano con un fitto tratteggio che da le sensazione di giocare all’interno di un grande quaderno per gli schizzi. Certo il tutto con quel lieve strato di inquietudine che caratterizza tutti i giochi di Amanita Design. Quando il protagonista senza nome scopre una porticina nascosta dietro la carta da parati della propria camera, vi si addentra per finire catapultato in una dimensione alternativa, in cima ad una torre fatta di torri, sbilenca e piena di cianfrusaglie di ogni tipo. Non saprei descriverlo se non come: il posto in cui ci si immagina che finiscano tutti i calzini spaiati sperduti. Questa cittadella contorta è abitata da una razza di uomini uccello alle prese con un’enorme minaccia che forse solo un estraneo può aiutare a risolvere. Nel suo cammino dall’alto verso i piani più bassi della torre, il protagonista dovrà risolvere degli enigmi ambientali dove ogni passo di troppo può essere decisivo per la propria disfatta e dove la luce farà da alleata in quanto capace di trasformare gli aggressivi nemici in innocue suppellettili. Ad armonizzare il tutto una colonna sonora dai toni gipsy che funziona da suggeritrice, incalzando il giocatore ogni volta che si muove nella direzione giusta per risolvere un puzzle. Leggero, scanzonato, brillante. Forse il mio gioco preferito dello studio col funghetto velenoso.

Hoa (Skrollcat Studio, 2021)

Giochino piccino picciò, come la sua fatina protagonista, acquistato principalmente per le sue influenze “miyazakiane”. E di fatti proprio la sua ispirazione alle opere dello studio Ghibli è il suo maggiore punto di forza. Fondali dipinti, personaggi cartooneschi e musiche che riprendono le sonorità di Joe Hisaishi, fanno da scenario alle avventure di una fatina dispersa che fa ritorno delle terre da cui era scappata per salvarsi dalla prepotenza di invasori robotici. Questo viaggio a ritroso è anche un cammino verso la riappropriazione dei propri poteri, persi con la fuga, fino a raggiungere le oniriche fasi finali del gioco dove tutte le meccaniche apprese fin lì, vengono intrecciate mettendo alla prova l’abilità del giocatore. Hoa è un’esperienza da piumone e latte caldo con i biscotti, perfetto per aggiungere al Natale qualcosa di grazioso ma non rubi troppo tempo alla famiglia. Interessante la scelta di usare il finale come flashback per spiegare come si è giunti alle battute inziali del gioco.

Ori the Will of the Whisps (Moon studios, 2020)

Toh guarda, un altro metroidvania! Quando mi sono fatto tentare dall’acquisto di Ori 2, del primo capitolo avevo un ricordo forte anche se non dettagliato che poteva riassumersi così: artisticamente elegantissimo, game-play acrobatico dal ritmo serrato, narrativa semplice (quando non vaga) che inciampava in qualche scelta forzatamente tragica. Per sommi capi lo stesso può essere applicato a questo sequel che però ha il pregio di presentare un mondo ancora più vivo, penetrante e interconnesso, offrendo varietà di biomi e meccaniche che rendono l’esperienza sempre molto diversificata ed originale. In questo Will of the Wisps ritroviamo la banda del primo capitolo, più o meno come li avevamo lasciati: Ori, il piccolo spirito di luce legato all’albero magico di Nibel, la paffuta creatura Naru madre surrogata del protagonista, il dinoccolato Gumo e la new entry, Ku la piccola gufa, figlia del principale antagonista di “Ori and the Blind Forest”. Tutti uniti in una famiglia sui generis ma funzionale che scopre giorno dopo giorno nuovi equilibri quotidiani. Ma sarà proprio durante degli esercizi di volo che Ori impartisce a Ku, che i due vengono sbalzati da una tempesta in una nuova regione, Niwen, dove è presente un altro Albero dello Spirito, anch’esso in difficoltà e dove nuovamente l’affievolirsi della luce spirituale ha portato da un diffondersi della “corruzione”. Compito di Ori sarà ritrovare l’amica alata e ricomporre i frammenti di luce sfuggiti al Salice morente per ristabilire una nuova era di fertilità. Anche in questo nuovo titolo il cuore del gioco sarà dato dall’inanellamento di salti acrobatici, rampini magici, attacchi di luce e fughe al cardiopalma da nemici giganteschi. Seppur il gioco riesce a costruire un racconto più organizzato, provando anche a rinforzare la lore di questo universo, il risultato finale resta pesantemente sbilanciato a favore dell’emozionante gameplay tanto che quando scorrono i titoli di coda diventa evidente che l’universo di Ori ha già esaurito tutto quello che voleva o poteva dire e questo a dispetto di un finale blandamente “aperto”. PS: l’insistenza con cui gli autori maltrattano i gufi in questa serie ha del criminale, qualcuno avverta la LIPU.

Zelda Breath of the Wild (Nintendo, 2017)

Uno dei regali più apprezzati di qualche anno fa nonché a tutti gli effetti il mio primo open world. Qualsiasi cosa si possa dire su Breath of the Wild è stata già detta, mi limito ad aggiungere un dato personale ovvero che mai avevo provato un così forte senso di libertà come in questo gioco. E per quelli come me che soffrono di un “lieve” disturbo dell’attenzione questo primo capitolo del reboot della saga sfrutta ogni nostra debolezza: qualsiasi buona intenzione di arrivare dal punto A al punto B viene compromessa dall’improvvisa comparsa di una siluette attraente all’orizzonte (un tempio? Un villaggio?), da una misteriosa colonna di fumo, da un bagliore sospetto in cima ad un monte e così via. D’altronde la missione del redivivo Link è di sconfiggere la calamità Ganon che ha corrotto il regno di Hyrule è tanto grave ed urgente quanto…  comodamente sospendibile per sbizzarrirsi in esplorazioni e missioni secondarie il più delle volte incredibilmente mondane. La storia d’altronde -come sempre, ma qui in modo specifico- è davvero solo un pretesto per rivestire i panni del biondo avatar senza voce e divertirsi con meccaniche versatili (congelamento, magnetismo, blocco del tempo) e tutte le possibilità che la fisica del gioco offre, che sia nelle vulcaniche terre dei rocciosi Goron, nel piovosi canyon degli uomini-pesci Zora, sul frizzante picco degli alati Rito o nelle sabbie torride delle amazzoni Gerudo. In più, pur rimanendo come sempre una damsel in distress è apprezzabile il tentativo di dare un ruolo più ampio a Zelda seppur in forma di flashback.

Zelda Tears of the Kingdom (Nintendo, 2023)

Caduto di nuovo nella trappola della FOMO, ho acquistato ToTk per giocarlo “insieme a tutti”. Una missione ovviamente fallita perché ho dovuto interrompere il gioco a metà e adesso il mondo intero sta giocando a Baldur’s Gate 3. Pazienza. Il mio giudizio è dunque parziale e sospeso finché non lo concluderò ma un po’ come nel caso di Ori 2 questo seguito di Zelda ha tutte le caratteristiche del primo capitolo ma implementate. Persino la trama riesce a fare un balzo in complessità e seppur resti una reiterazione del solito canovaccio (con una scusa facilona per resettare i poteri di Link riportandolo letteralmente in mutande e senza armi), TotK gioca con più piani narrativi intrecciando parallelamente diverse storyline -con diverso ordine gerarchico- per cui se da un lato dobbiamo scoprire cosa sia successo a Zelda, misteriosamente scomparsa, dall’altro dobbiamo indagare sulla natura delle isole volanti che galleggiano sopra Hyrule e sull’origine della antica civiltà ad esse collegata; si può seguire la trama giornalistica conducendo piccole “investigazioni” in giro fra le varie regioni, o decidere di svelare i misteri del sottosuolo e del miasma tossico che da esso promana. Il tutto rende il gioco ancora più stimolante e solo grazie al tracker delle missioni da seguire è possibile tenere tutto sotto controllo. Come sempre si può correre dritti verso la trama principale oppure scegliere di perdersi nei mille dettagli, personaggi secondari, situazioni collaterali che rendono questo mondo vitale e infinitamente esplorabile. Per adesso sto seguendo questa seconda via, battendo sistematicamente ogni centimetro di ogni regione prima di sbloccarne un’altra. La maggiore criticità riscontrata per me al momento l’esistenza di una terza sezione di gioco, quella sotterranea, che nel rapporto grandezza-contenuti risulta essere, a mio avviso, un enorme spreco di spazio (e di tempo per il giocatore). Chissà se i misteri del passato di Hyrule mi  soddisferanno del tutto e chissà cosa aspetta Link per futuri capitoli della saga.

Extra: Final Fantasy 8 (Square Enix, 1999)

Almeno una volta l’anno mi lancio nella visione su YouTube di un walkthrough di giochi che non proverei mai di persona oppure di giochi che non avrei mai il tempo di rigiocare. Il 2023 è stato l’anno di FF8 giocato da TB Skyen, che nei suoi video aggiunge sempre una buona dose di analisi, riflessioni ed informazioni extra che rendono la visione molto completa. Purtroppo questo ritorno nostalgico al passato mi ha costretto a fare un po’ di revisione su un titolo che essendo stato il mio primo Final Fantasy ha sempre avuto un posto speciale nel mio cuore. La prima volta che si evoca una summon, che ci si cala nella complessità di una storia a metà fra fantasy e fantascienza, in cui le musiche sembrano trasportarti al cinema e le sequenze in computer graphic (almeno a quei tempi) lasciavano a bocca aperta non potevano che marcare un prima e un dopo nella mia esperienza videoludica. Eppure rivisto con gli occhi di oggi il viaggio di Sqaull, studente in una accademia militare che si ritrova coinvolto in una crisi politica orchestrata da una strega dagli enormi poteri, il quale impara a conoscere sè stesso e ad aprirsi agli altri grazie all’amore per Rinoa, risulta davvero molto poco fantasy, soprattutto se paragonato al capitolo seguente FF9 che a questo punto diventa il mio preferito. Sia chiaro, le aspirazioni del gioco sono davvero altissime ed è impossibile non rimanere agganciati al taglio cinematografico con cui la storia è raccontata, eppure mi sono finalmente reso conto di quante cose mi fossi perso durante il mio primo gameplay e non solo perché ci giocai da adolescente ma perché molti passaggi della storia sono risolti o spiegati in modo quasi accidentale o tardivo, in un mondo “fantastico” dominato però principalmente da esseri umani (le specie secondarie sono del tutto accessorie), dove la fantasia è relegata ai margini del tempo e dello spazio (o in un passato antico di cui si hanno solo rovine, o in un futuro distopico). E se si supera l’età in cui i drammi d’amore liceali sono ciò che ti fa balzare il cuore, allora Final Fantasy 8 rischia di essere uno dei capitoli meno versatili e longevi della saga. Certo è anche il capitolo con uno dei finali più lunghi e soddisfacenti di tutti, in perfetto equilibrio fra la chiusure di tutte i fili narrativi e la sensazione che quei personaggi continueranno le loro vite autonomamente anche quando i titoli di coda sfumeranno nello schermo nero.

Song of Nunu (Tequila Works, 2023)

Ultimo spinoff di League of Legends del 2023, Song of  Nunu narra le avventure di Nunu, giovane membro della tribù Notaj e di Willump uno yeti magico dotato di quattro corna e quattro braccia, ultimo esemplare della sua stirpe nel mondo di Runeterra. Il loro obiettivo è individuare un artefatto chiamato “il cuore del Blu”, apparentemente l’unico mezzo per ritrovare la scomparsa madre di Nunu. A concorrere con nella caccia al tesoro sarà la strega dei ghiacci, Lissandra, intenzionata ad usare il bambino e lo Yeti per i suoi scopi segreti, pedine in una scacchiera molto più ampia. Si tratta di un adventure game con elementi puzzle, in tipico stile Tequila Works del quale però… non farò nessuna recensione, neanche breve, ed il motivo è semplice: si tratta del primo videogioco a cui ho avuto opportunità di lavorare in prima persona come membro del team. Dopo molto tempo le vie del disegno mi hanno portato a scavalcare la staccionata e a passare dal lato degli sviluppatori, dedicando gli ultimi 4 anni in compagnia di questi due adorabili personaggi, nelle fredde lande del Freljord, cercando con tutto il team di proporre una varietà di scenari e situazioni con delle proprie identità distinte, in una regione di questo mondo fantastico che sarebbe altrimenti dominata solo dal bianco della neve e dall’azzurro del ghiaccio. Piccolo extra: l’opportunità di lavorare al notebook in cui Nunu annota tutto ciò che incontra con uno stile grafico leggero e spensierato, forse una delle cose in cui mi sono divertito di più. E dunque mi astengo da qualsiasi giudizio, essendo troppo coinvolto, ma ci tengo ad appuntarlo qui, visto che solo qualche anno fa recensii su queste pagine un altro famoso gioco di Tequila Works, Rime, non potendo minimamente immaginare che un giorno avrei lavorato per loro e che avrei passato un Natale con i membri della mia famiglia a giocare a qualcosa nei cui titoli di coda, sezione ringraziamenti, appaiono i loro nomi.

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