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Gli errati smistamenti di Pottermore

Il mondo è un posto orribile e pieno di problemi. In più, dopo mezz’ora di giochini deficienti per arrivare allo smistamento, il cappello parlante di Pottermore mi ha inserito fra i serpe verde. Account cancellato.

A proposito di gente che mi cataloga nelle “case” sbagliate, di recente mi è capitato, da un lato, di mostrare qualche perplessità sul tanto decantato genio creativo di Joss Whedon, dall’altro di cercare di difendere la qualità di Game of Thrones e di The Good Wife. Ed entrambe le “polemiche” con persone diverse si sono ricongiunte nel grande fiume di The Avengers. Il risultato è che ora vengo considerato come un detrattore di Whedon amante del fantasy e dei legal drama.

Come si dice dalle mie parti: fatti la nomina e cucchiti.

Joss Whedon è un genio e non lo avevo capito

Nessun velo di ironia nel titolo. Se un tot di persone che intellettualmente stimo mi ripete che Whedon è un genio sono portato a farmi due domande. Whedon per me equivale banalmente a “Buffy”. Non seguo la produzione fumettistica della Marvel (quindi non ho letto albi scritti da lui), Angel non ho mai avuto occasione di vederlo, Dollhouse era un bubble show e come tale l’ho sempre rimandato e Alien 4 è una cosa abominevole sulla cui realizzazione e “messa in scena” lo stesso Whedon ha molto da ridire. Per cui il mio metro di giudizio resta “Buffy”. Peggio. “Buffy visto con leggerezza”.   Nella mia catalogazione mnemonica Buffy è una serie divertente ma un po’ frivola.

Cerco di capire cosa rende la scrittura di Whedon così interessante e mi viene detto che, tra le altre cose, è fondamentale la funzionalità che viene data ai dialoghi come mezzo per scoprire e costruire i personaggi, senza mirare alla mera battuta brillante.
Obietto che questa dovrebbe essere una caratteristica non costante, ma quantomeno comune nei dialoghi delle grandi serie. Forse che un Alan Ball (Six-Feet-Undermente parlando) non usa la stessa “arma” per costruire i suoi personaggi (li dove non sono i silenzi stessi a farlo)? Perché “il dialogo” in Whedon dovrebbe essere considerato più funzionale che nella scrittura –per dire- di Bryan –Pushing Daisies- Fuller?
Certo, tre linguaggi completamente diversi, e che non potrei neanche analizzare per mancanza di competenze al riguardo.

Poi però faccio due ricerche e vedo che lo stesso Fuller esalta il genio di Whedon nell’usare un contesto “fantasy” per portare avanti tematiche serissime, e il prototipo di un’eroina che non si limiti a piangere e a chiedere aiuto ma che fa il culo ai cattivi.

Eh no. Piace pure a Fuller. Allora son proprio io che ho il paio di occhiali sbagliato. Oppure…oppure sono un po’ prevenuto. Perché nei fatti questo prototipo di eroina è interpretata da Sarah Michelle Geller. E io, a torto o ragione (son gusti), trovo che la suddetta sia decisamente incapace di recitare oltre che una delle pochissime attrici che dal doppiaggio italiano ci guadagna e non poco (e su ambo i punti quella cagata di Ringer che ho visto di recente non può che darmi conferme). Lasciando stare il fatto che il 99% dei fan di Whedon adorano anchela Geller, ecco, magari uno dei miei problemi sta proprio qui ed è assai superficiale.

Ci vogliamo aggiungere che le coreografie dei combattimenti erano degne di Xena se non peggio?
Vogliamo eliminare anche i ricordi di una stagione in cui dei militari usavano dei microchip per controllare i vampiri?
Vogliamo eliminare il deus ex machina del “super potentissimo martello che guarda caso è adatto a sconfiggere il nemico e guarda caso è già nell’inventario del negozio di magia”?

Ok, forse stiamo eliminando tutti gli elementi di disturbo. Cosa resta nella mia memoria? Spike e Drusilla che sfottono i neofiti del college per i gusti prevedibili in fatto di poster. Vampiri che sfottono Klimt. Mi piace. Un sogno di Willow in cui la sua ragazza ha i versi di Saffo scritti in greco sulla schiena. Carino. Resta l’episodio “Hush,” che ricordo perfettamente come 45 minuti veramente inquietanti. Ricordo un’ ultima stagione con un cattivo abbastanza cattivo, una risoluzione piuttosto intelligente e anticonvenzionale e un paio di personaggi sacrificati per dovere di “drama”.

Risultato: se Buffy è geniale, è una genialità che potrei cogliere solo rivedendolo con occhio maturo e siccome non ho tempo mi rifarò guardando Firefly. 

 

Il gioco dei Troni e la Brava moglie

Solo io posso essere messo nella condizione di dover difendere Game of Thrones, che si difende ampiamente da solo. La maggior parte delle persone a cui l’ho consigliato –anche le più restie- ha ceduto. Eppure capita di incontrare gente che si annoia a guardarlo. Un paio di obiezioni note, e per me poco condivisibili, sono le seguenti.

<<“Game of Thrones” è un fantasy ed è un genere che non mi piace.>>

Se di fantasy si tratta è di certo un “low fantasy” (e già sto esagerando). Soprattutto nelle sue battute iniziali. E’ facile –ma non scontato- prevedere che più si andrà avanti più gli elementi fantastici la faranno da padrone, ma la serie ha l’ulteriore pregio di ridurre tali elementi, rispetto ai libri, lì dove non necessari. Insomma chiunque lamenti l’aspetto fantasy di GoT non dovrebbe poter pronunciare Fortunadrago senza restarci secco. E non dovrebbe leggere nessun tipo di fumetto super eroistico. E non dovrebbe guardare neanche il Tempio Maledetto. E probabilmente dovrebbe astenersi dal mangiare gli orsetti gommosi.

<<Game of Thrones è noioso. Non succede mai nulla>>

GoT è una grande partita di scacchi. Gli scacchi sono noiosi se non ci sai giocare o non conosci le regole. Io trovo gli scacchi noiosi. C’è sempre la briscola. Ma di GoT ho capito le regole. E ci voglio giocare. Di grandi battaglie –forse anche per esigenze di budget- ne vedrò poche. Di magie, raggi laser e wingardium leviosa ne vedrò ancora meno. GoT parla di altro. Della crescita e del “dipanarsi” di un tot di personaggi attraverso un mondo crudele e privo di pietà, immerso in una ragnatela di intrighi di corte ed equilibri politici che possono essere ribaltati al minimo cambiamento di peso.
In più in ogni episodio si vedono almeno un paio di tette, la morte di qualcuno (ultimamente minorenni), e se gli gira pure scene gay e cavalli decapitati.

<<Game of Thrones ha la classica struttura a cliffhanger>>

Come moltissime serie che fanno della linea narrativa orizzontale l’aspetto fondamentale. Certo è una scelta furba –che tra l’altro non caratterizza tutti gli episodi- ma che accomuna GoT a molte altre serie. Su due piedi direi Alias e Lost (ciao J.J. Abrams!). Il cliffhangerone finale è un guizzo che questo tipo di serie può permettersi. Non essendoci “il caso della settimana”, l’apice narrativo non si può raggiungere con la risoluzione conclusiva. In più il formato “tascabile” delle serie “via cavo” (media di dieci episodi) rende il tutto meno forzato rispetto ad es. al suddetto Lost (ricordo ancora un presunto cliffhanger con Juliet che sistemava la sua tenda con sguardo minacciosissimo e musica di sottofondo inquietante…).

Con questo non mi professo fan sfegatato della serie che ha i suoi difetti. Né tanto meno dei libri che sto leggendo con molta perplessità. Dico solo che non riconoscerne il valore è da ciechi. Che poi piaccia o meno è un altro paio di maniche.

Per The Good Wife il discorso è diverso. E’ un prodotto difficilmente vendibile al maschio medio italiano. La moglie di un politico fedifrago e corrotto che rispolvera la laurea in legge per provvedere ai bisogni dei figli. Quando lessi la sinossi negli Upfront di qualche anno fa pensai: dopo il flop di Canterbury’s Law come fa Julianne Marguiles a commettere lo stesso identico errore?

Nei fatti la serie si è dimostrata di tutt’altra pasta. Dovendo venderla ai miei amici la descrissi come un House in versione legale. Una serie, cioè, che ha una struttura verticale come un classico procedurale (cioè “il caso di oggi” che viene risolto nell’arco di 45 minuti) e al contempo delle linee narrative orizzontali che corrono lungo tutta la stagione (e la serie) da episodio a episodio.
Ma se in House il racconto orizzontale è stato spesso e ultimamente sfilacciato, residuando ormai nella sola “crescita” emotiva di House (a discapito di gran parte del cast), in The Good Wife è ben diverso. La narrazione orizzontale occupa una buona parte di ogni episodio e coinvolge periodicamente quasi tutti i personaggi, non limitandosi alla sola protagonista.

Assodato ciò, si può sottolineare che una delle caratteristiche più gradevoli e sorprendenti della serie è il rispetto della continuity. Esatto. Proprio lei. Quell’ospite gradito che fa della nostra vita un’esperienza reale. Quella cosa li che rende Community  una comedy intelligente. Quella cosa li che Modern Family fa finta che non esista. La stessa continuity che ti dice “non è un episodio autoconclusivo” e grazie alla quale non vedrai mai Horatio Caine togliersi gli occhiali in 87 fotogrammi, dicendo una bojata tipo “Toh..una cinciallegra morta…adesso è solo cincia.”
Ed è una caratteristica –apparentemente banale- che si vede in tanti elementi e non fa che regalare ricchezza e concretezza alla serie.

Il tutto si sposa con la capacità degli autori di tratteggiare dei personaggi secondari con rara perizia tanto che ciascuno meriterebbe uno spin-off proprio. Da Michael J. Fox, a Martha Plimpton, fino a Matthew Perry.
E se meticolosa è la costruzione delle guest star, è superfluo rilevare di cosa la serie è capace quando si tratta del cast principale.

Salvo quindi qualche sbavatura nelle ultime battute della terza stagione, The Good Wife resta uno dei migliori prodotti degli ultimi anni, e sicuramente la cosa migliore che vada in onda sulla CBS (beh…per quello non ci vuole molto..vero Horatio?).
E’ già cult.

The Avengers

“Caso vuole” che sia i detrattori di GoT che i sostenitori di Whedon con cui ho parlato, abbiano ampiamente incensato la sua ultima fatica cinematografica: The Avengers.

La premessa delle premesse è che io di default non posso godere pienamente del fascino di questo film. Come ho già detto non ho un carico emotivo nei confronti di Joss Whedon e inoltre non sono fan di  fumetti supereroistici DC o Marvel, non digerendo il concetto di “racconto che non ha mai fine finché abbiamo dei lettori e facciamo soldi”. Banalmente mi piacciono le cose che hanno un inizio e una fine.
La domanda è dunque semplice: mi è piaciuto The Avengers?
Fondamentalmente si.
Ma…..

….ma trovo eccessivo tesserne le lodi come fosse una pietra miliare della cinematografia o dare per scontato che sia così bello da rivederlo 3-4 volte. Tradisce a mio avviso la non obiettività di base dello spettatore o perché si era fan di Whedon o del fumetto o di entrambi.
Vero è che a vedere più di una volta il film è stata anche gente che non conosceva il regista e non era fan dei fumetti. Ma questo può essere attribuito, oltre al talento di Whedon, anche al bombardamento mediatico e alla natura stessa del film.
The Avengers è probabilmente una pietra miliare dei blockbuster. Questo si. E uno dei migliori film a tema super-eroistico. Non è poco.

Cosa ho gradito:
Joss Whedon è innanzitutto riuscito a compiere una grande impresa. E’ riuscito a introdurre i protagonisti ex novo, soddisfacendo sia gli spettatori più sprovveduti che non avevano visto al cinema i rispettivi Thor-Capitan america, Iron Man ecc, sia i fan più accaniti che non avevano perso neanche uno dei suddetti film. Imbastire una nuova storia, mantenendo la continuità con 4 franchise già avviati, re-introducendo i protagonisti e al contempo costruendo delle relazioni fra gli stessi, sembra impossibile per un solo film. Eppure in oltre due ore di pellicola il tutto riesce e senza affaticare troppo lo spettatore.

Interazione tra i protagonisti si diceva. Forse la chicca più affascinante del film. La costruzione (e la de-costruzione) delle relazioni riesce a far brillare quasi tutti i personaggi. Se per esigenze di cast e di copione Robert Downey Jr. con il suo Tony Stark tende continuamente a esondare invadendo lo spazio altrui, chi eccelle in maniera più sottile sono Capitan America e Bruce Banner. Il primo, pur “indossando” la bandiera americana, riesce a essere privo della tipica retorica stucchevole del patriottismo USA; anzi, quando la fiducia naif nel suo paese viene delusa,  il personaggio si fa veicolo per una critica alle logiche nazionalistiche ed espressione di una delusione che è generazionale.
Andando a Bruce Banner è encomiabile la gestione dei “tempi”. Troppo forte la tentazione di giocarsi subito la carta del mostro verde. La sceneggiatura invece regala ampio respiro al personaggio di Banner, centellinando l’arrivo di Hulk in modo da creare una considerevole aspettativa.

A fare un po’ la figura del merluzzone è Thor che avrà tutt’al più tre battute che non fanno addormentare, e che a maggior ragione svanisce sotto il peso di un divertentissimo Loki (e vabbè diciamolo, di un bravissimo Tom Hiddlestone).
Salvo che per l’ormai assodata incapacità di Scarlett, le interpretazioni sono state convincenti. E ottime sono state le coreografie, in grado di coinvolgere lo spettatore senza confonderlo con abuso di CGI o inquadrature gratuitamente rocambolesche (si, Transformers I e II parlo proprio di voi!).

Andiamo alle critiche:
Il pericolo. Non l’ho sentito. Il coinvolgimento adrenalinico è mancato quasi completamente. L’unica scena che mi ha emozionato è stata quella tra la Vedova Nera e Hulk. Lì si che il pericolo era percepibile. E questo –oltre che a meriti della regia- dipende da un fatto più banale: la Vedova Nera è un normale essere umano e come tale “poteva” (teoricamente) perdere la vita. Tutti gli altri sono in un modo o nell’altro “super-umani”. Ne danno e ne prendono nei modi più disparati e mai nessuno che si faccia un graffio.
“Certo sono super eroi!!!”
Okkei! D’accordo. Ma a quel punto se mi presenti i personaggi come immortali, allora il pericolo ultimo, l’armata aliena invocata da Loki, dev’essere qualcosa di spaventoso. Altrimenti non crederò neanche per un secondo che i buoni possano perdere.
E invece l’armata è una cosa tristissima. Un numero veramente scarno di cattivi che vola qui e la senza fare gran che. Non fanno vittime fra i civili –o almeno non si è avuto il coraggio o la libertà di farle vedere. E vengono tenuti facilmente sotto controllo da 5 (super)persone.
E a proposito dell’armata, oltre alla quantità anche l’aspetto era piuttosto soporifero. Per la serie “il sense of wonder l’ho scordato sul mobile dell’ingresso”. Ci si è rifatti a razze aliene esistenti nei fumetti, ma nel complesso i mezzi e le murene in stile Castello errante di Howl non hanno aggiunto assolutamente nulla al mio panorama immaginifico.
Peggio, hanno richiamato alla mente gli scagnozzi di Rita Repulsa nei Power Rangers.

Dal punto di vista della trama, ci sono almeno due punti che non mi sono calati minimamente.
La spinta emotiva, che unisce il gruppo motivandolo alla sfida finale, è stata affidata alla morte del soldato Phil. E alle sue figurine vintage. Una faciloneria obbligatoria per trovare un minimo comune denominatore fra i vari personaggi. Ma comunque una faciloneria. Iron Man, Thor e Hulk, avendo un proprio love interest, dovrebbero essere già abbastanza motivati a salvare il mondo. Tanto più che la morte dell’agente è telefonatissima, essendo l’unico personaggio non presente nei fumetti (il che è in controtendenza con le “morti eccellenti” e inaspettate targate Whedon)

Secondo punto della trama debolissimo è il deus ex machina finale. Il dottore sotto l’influsso di Loki ha comunque agito di propria volontà prevedendo un sistema di emergenza per disattivare il portale dimensionale. Nessuna spiegazione plausibile alla cosa. Il fatto che nei fumetti la risoluzione sia spesso altrettanto banale non è una giustificazione. Qui siamo al cinema.

Nota neutra. Ho trovato interessante il fatto che i protagonisti più normali , la Vedova Nera e Occhio di Falco, siano stati usati per riportare la battaglia su un piano “terreno” e “umano”; scontro corpo a corpo nelle strade. Lì dove il Dio, il mostro e il super genio gestivano la parte aerea e “stra-ordinaria” dello scontro. E tuttavia, paradossalmente, i più umani dei protagonisti, essendo di fatto militari hanno mostrato un’umanità (e una tridimensionalità) assai inferiore ai super-uomini, afflitti per l’intera durata del film da profonde tribolazioni interiori (un rapporto conflittuale col proprio fratello – il faticoso tentativo di accettare se stesso e la propria mostruosità – un ego smisurato e l’amore per la propria compagna).

In conclusione, soppesando pro e contro, il voto è positivo. Insieme a qualche X-men, e a qualcosa di Spiderman, rientra tra le pellicole supeeroistiche migliori.
Per essere piegato a logiche commerciali che più bieche non si può, riesce regalare qualcosa allo spettatore. Non compie il miracolo di trascendere il genere come i film Nolan (tanto da non poter considerare la trilogia di Batman come semplici “film di supereroi”). Ma questo non è un limite di Whedon ma dell’intera operazione commerciale della Marvel e dalla natura stessa dei personaggi.

Confido di continuare a vedere “film Marvel” con la necessaria leggerezza e di approfondire il mondo di Joss Whedon con opere più personali  e meno condizionate dalle grandi etichette.

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