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40 anni dopo (1) : Rosso scarlatto

 

[Oggi mi è venuto in mente questo piccolo racconto. Forse primo di una serie. Puro divertimento –senza neanche una correzione decente, sarà pieno di errori- giusto per giocare un po’. Spero vi piaccia questa rivisitazione.]

 

 

 

Erano passati quarant’anni.

Guardò fuori dalla finestra; i boschi erano rimasti uguali a quando era bambina;stesso identico panorama, le sembrava quasi di sentire la voce della madre che l’ammoniva di stare attenta.

Era mattina eppure fra i tronchi degli abeti , in lontananza ,regnava un’oscurità impenetrabile.

Volse lo sguardo al marito, mezzo addormentato su una sedia a dondolo in legno. Era ancora un uomo forte ma i suoi anni li dimostrava tutti, quanto meno nella scarsa lucidità mentale. A vederlo così ,sonnecchiare sembrava una creatura innocua ,quasi vulnerabile; nella realtà l’uomo si era rivelato fin troppo incline all’alcol e all’uso della cinghia.

Non che lei se ne stesse buona a prenderle; da ragazza ,è vero, aveva subito senza proteste ogni tipo di maltrattamento, d’altro canto si trattava di colui che le aveva salvato la vita in un passato ormai remoto. La madre stessa l’aveva accusata più volte di essere un’ingrata a lamentarsi di qualche “scaramuccia domestica”; se non fosse stato per lui , lei sarebbe stata fatta a pezzi senza troppi complimenti. Eppure , un giorno, dopo la morte della madre, qualcosa in lei si mosse e decise di reagire , di opporsi a quell’ “eroe” diventato carceriere; in tutta risposta lui la massacrò di calci e pugni che la costrinsero a restare a letto per una settimana. Poteva aver avuto ventotto anni;ora ne aveva 48 ,e anche se negli ultimi tempi le sevizie erano diminuite, l’odio per il marito non aveva fatto che aumentare.

“Vado al cimitero a portare un po’ di fiori”

“Vai sempre al cimitero…” disse lui con la bocca impastata dal sonno “non hai nient’altro da fare brutta idiota. Se vai avanti così al cimitero ci andrai una volta per tutte….morendo di noia” e rise di gusto senza neanche aprire gli occhi per guardarla.

La donna si alzò, prese la mantella logora e uscì dalla porta.

Lungo il sentiero che portava al piccolo cimitero di famiglia, raccolse , qui e li, qualche candido fiore di campo, gli stessi che raccoglieva da bambina. Non era cambiato niente da allora, la sua vita era rimasta cristallizzata in quell’illustrazione da libro delle favole –la casetta vicino al bosco col marito cacciatore – che sembrava essersi deformata negli anni diventando un incubo.  Non aveva potuto seguire la sua strada e andare a vivere nel villaggio e magari da li , chissà , andare in città. No. Era stata costretta a restare prigioniera ,prima nella gabbia di regole e restrizioni che la madre anche in tarda età le imponeva , e poi in quella costruita dal marito in tanti anni di violenze. Costretta da chi? Pensò tra sé e sé. Bastava scappare, fuggire lontano da loro e non fare più ritorno. Ma non lo aveva fatto , e ora le sembrava troppo tardi.

Il “cimitero” era in realtà costituito da due lapidi poste su una piccola collinetta erbosa; una apparteneva alla madre, una alla nonna.

 La nonna.. ..doveva essere stata sbranata ore e ore prima del suo arrivo, perché nel ventre del lupo non ne trovarono traccia. I ricordi di quell’evento drammatico erano confusi nella sua testa e non sapeva più cosa fosse vero e cosa fosse stato aggiunto dalla sua immaginazione negli anni. Ricordava di aver varcato la porta della casa della nonna e di aver trovato un enorme lupo sul suo letto immerso nei vecchi vestiti che era abituata  vederle addosso, ma non come se la bestia stesse ultimando il suo pasto, ma come se li stesse indossando…questo sicuramente lo aveva aggiunto la sua immaginazione. Ricordava di aver gridato come mai aveva fatto prima, e che un uomo molto alto –quello che poi sarebbe diventato suo marito- accorse dal bosco col fucile in mano e sparò un colpo dritto in quella nera fronte canina. Lo sparo era l’ultima cosa che ricordava.

Lasciò i fiori e fissò quell’oscuro bosco al quale da allora non si era più avvicinata; l’idea di dover tornare a casa la prosciugò la gola. Decise di ritardare quel momento, e quasi senza accorgersene, un passo dopo l’altro si avviò verso gli abeti, stringendosi la vecchia mantellina al collo, e coprendosi la testa col cappuccio di un rosso che il tempo aveva trasformato in rosa sporco.

Non appena si trovò nell’oscurità di quei tronchi, l’aria fredda la colpì in pieno volto. Continuò ad andare sempre più nel cuore del bosco, li dove lo spazio fra gli alberi si faceva sempre più stretto; non riusciva più neanche a individuare la strada da cui era venuta ma non le importava; andò avanti e avanti..   ..finché  non si ritrovò in un piccola radura. Sopra di lei i rami erano più radi tanto da far filtrare qualche raggio di sole che per un attimo l’accecò.

Poi sentì un rumore. Il quasi impercettibile scricchiolio di qualcosa che viene schiacciato sotto la pressione di qualcos’altro.

“Chi è là?” tentò speranzosa “c’è qualcuno?”

La risposta fu un sommesso ringhio e quando cercò di scrutare nell’ombra, un paio di enormi occhi gialli lucenti le restituì lo sguardo. Il respirò le si bloccò letteralmente nel petto e un accenno di lacrime le riempì istantaneamente gli occhi. Per cinque secondi di fila il panico l’aveva invasa. Poi lentamente scemò,il respiro tornò pian piano regolare, e le lacrime sembrarono tornare da dove erano venute, senza che nessuna fosse versata.

Com’è possibile che sia lui? Lo stesso lupo di quarant’anni fa! No,non era possibile.

 Eppure eccola lì l’enorme bestia che aveva visto nel bosco da bambina e che poi aveva trovato in casa della nonna, era venuta per lei, forse dall’oltretomba, per saldare un conto che era rimasto in sospeso per quattro lunghe decadi.

“Fatti avanti !” gridò “ Sono qui, indifesa! Sono stata tanti anni lontana da questo bosco, lontana da te , per stare al sicuro, per vivere in pace la mia vita! Ma ora che sei qui, ti prego , salvami tu dalla mia vita! Salvami tu perché da sola non posso!”

Il lupo la fissò per un istante , poi con uno scatto la balzò addosso.

La donna sentì perfettamente le zanne umide,prima graffiarle e poi attraversarle la pelle del collo; un fiotto di sangue caldo le inondò il petto bagnando la mantella;quasi esanime afferrò la pelliccia dell’animale tirandolo a se; adesso lacrime le inondavano il volto; ma erano lacrime di gioia.

 

Si svegliò di colpo completamente sudata.

Dove sono?!

Era notte fonda, e non si trovava più nella radura. Alla luce della luna piena vide che era sdraiata su una enorme roccia che dominava l’intero bosco di cui però era possibile distinguere solo le punte degli alberi in quel chiarore notturno. Istintivamente si portò le mani al collo. Nulla. Non c’era nessuna ferita.

Incredibile! Ero sicura…

Si tastò il resto del corpo; era nuda eccetto che per la mantellina che la copriva. Quel vecchio tessuto una volta rosso scarlatto, al tatto risultava ora, meno soffice del solito….il sangue di cui si era inzuppato si era ormai rappreso, legandosi definitivamente alle fibre.

D’un tratto si accorse che a pochi metri da lei, un uomo piegato sulle gambe, la fissava , nudo e immobile, anche egli illuminato appena dalla luna.

“Ti abbiamo aspettata per tanto tempo” disse lentamente , mentre altre figure si facevano avanti con prudenza.

“Chi sei? Cosa vuoi da me?”

“Ci siamo incontrati tanti e tanti anni fa nel bosco. Credo tu lo ricordi ancora. Stavi andando a trovare tua nonna… io e lei eravamo molto amici, prima che quell’uomo la uccidesse”

“Io ..io non capisco..non l’ho mai vista in vita mia. Mi lasci stare! Mi ridia i miei vestiti devo tornare da…”

“Da tuo marito? Dall’uomo che ti picchia da quando ne hai memoria? Non sei stanca di stare nel posto sbagliato, a rimuginare su cosa poter fare perché tutto cambi?”

“..e cosa potrei fare?” chiese lei afflitta.

“Vieni” disse lui “dobbiamo parlare.”

 

Non appena una nuvola di passaggio si diradò la luna piena riprese a brillare vivida. L’uomo era furibondo. Era rimasto a casa tutto il giorno, non aveva neanche provato a cercarla; ma sapeva che appena sarebbe tornata le avrebbe dato una lezione che non avrebbe scordato facilmente. Dondolandosi al buio sulla sedia, bevve un altro sorso di whisky e quando abbassò la bottiglia, la porta di ingresso era spalancata, e un’esile figura incappucciata si stagliava sulla soglia.

“Dove diavolo sei stata sgualdrina!” urlò lui tentando di alzarsi dalla sedia a dondolo “aspetta che ti prenda, così la prossima volta ci penserai bene prima di scappartene così!”

Prima che riuscisse a mettersi in equilibrio lei gli corse incontro, rigettandolo sulla sedia e mettendosi a cavalcioni

“Che diavolo fai?” gridò sorpreso.

“Shhh” bisbigliò lei tappandogli la bocca con l’indice sinistro, mentre con l’altra mano afferrava quella di lui portandola sul suo seno.

“Ehm..non ti basterà questo” disse lui cercando di usare un tono minaccioso ma lasciando trasparire la sua eccitazione; la bottiglia di whiskey cadde a terra.

Il cacciatore continuò ad accarezzare la moglie,mentre lei, sinuosa, lo stringeva a se.

Poi d’un tratto mentre le sfiorava il volto,l’uomo sentì come se qualcosa si stesse muovendo fra le sue mani e le sue dita non riuscirono più a contenere le orecchie della donna.

“Che…che orecchie grandi hai.” disse confuso

“E’ per sentirti meglio” disse lei baciandolo appassionatamente.

L’uomo non riusciva a capire cosa stesse succedendo alla moglie; la fissò negli occhi..quegli occhi che lui sapeva essere castani; anche le pupille di lei erano fisse su di lui, ma d’un tratto le iridi cominciarono a pulsare e come una fiammata brillarono di un giallo intenso e fosforescente.

“I tuoi occhi..cosa…?!” chiese senza fiato

“E’ per vederti meglio” disse lei in una risata acuta ,togliendosi di dosso la mantella ,rimanendo completamente nuda. Afferrò il volto del marito guardandolo fisso.

Lui sentì le guance strette fra le dita di lei; ma quelle dita sembravano ora ritrarsi diventando tozze e pelose finché dieci unghie affilate non  gli si conficcarono nella pelle.

“Le tue mani!” urlo lui in preda al panico senza riuscire a cambiare posizione “Cha diavolo succede alla tue mani?!”

“E’ per afferrarti meglio!” disse lei con un ghigno rabbioso.

Incapace di parlare il cacciatore mosse rapido gli occhi alla ricerca del fucile che doveva aver appoggiato da qualche parte nella stanza; ad un tratto attraverso la porta e le finestre, intravide molte figure di uomini e di donne.

“Chi sono quelle persone?” chiese lui senza guardarla, fissando ancora quegli sconosciuti

“Chi sono??” ripeté ,questa volta cercando lo sguardo della moglie.

Quello che si trovò davanti fu l’enorme muso di un lupo ,come se la donna avesse indossato una grottesca maschera, con le zanne spalancate in un feroce ringhio.

“Che bocca orrenda hai!!” gridò lui terrorizzato.

“Per mangiarti meglio” urlo lei , con una voce che non aveva più nulla di umano.

Con un rapido movimento gli fu addosso; uno schizzo di sangue bagnò i vetri delle finestre e le grida delle persone all’esterno della casa si innalzarono al cielo , alle stelle, alla luna, declinando lentamente e inesorabilmente verso un coro di tremendi ululati.

 

In quella notte, dalla porta della casa del cacciatore, accolta dal suo branco, uscì una lupa dallo sguardo vorace e le fauci coperte di sangue; il suo manto era rosso….rosso scarlatto

 

 
 

2 pensieri su “40 anni dopo (1) : Rosso scarlatto”

  1. chi sia il personaggio si capisce abbastanza in fretta ma non è l’unica sorpresa della storia e quindi va bene.come t’è venuta in mente? 😀

  2. Mmh l’idea di reinterpretare favole famose in chiave negativa mi è sempre piaciuta. Essendo il primo racconto un minimo di effetto sorpresa ci stava 🙂 se ne farò altri il senso sarà solo vedere come immagino il futuro di codesti personaggi. 🙂 nello specifico non so come mi è venuta l’idea di dargli quello sviluppo. Boh. E’ solo venuta. 🙂

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