Intrattenimento

Nuovi Mondi #2

bas3Seconda puntatona con la rubrica esplorativa di nuovi mondi che, con molta umilté, consiglio (o sconsiglio) di visitare. Come nel precedente post eviterò di parlare di serie già in corso e che seguo da anni, concentrandomi su tutte le novità incrociate nei mesi passati (o perché appena uscite o perché da poco recuperate). Le parole d’ordine saranno “Bill Bryson” e “Cosmos” e “sponsorizzazione”.

SERIE TV


cosmosCosmos: A Personal Voyage
(Sagan, Druyan, Soter – 1980)

La mia curiosità per Carl Sagan nasce ai tempi della visione del film Contact, tratto dal suo omonimo romanzo (lo ricorderete per essere quel misuratissimo film di fantascienza che parla della comunicazione con civiltà aliene o come l’unica cosa decente fatta da Matthew McConaughey prima di True Detective). Intercettata un’intervista della moglie Ann Druyan sul Venerdì di Repubblica quando l’astronomo era già venuto a mancare, cercai di saperne di più ma essendo le sue opere fuori catalogo o non tradotte vi rinunciai. Quest’anno, a distanza di molto tempo dal mio primo “incontro” con l’autore, mi sono imbarcato nella visione di Cosmos, serie di divulgazione scientifica degli anni 80, portata in Italia nell’ambito della programmazione di Quark di Piero Angela. Complice di questo recupero, va detto, un’estrema sponsorizzazione da parte di persone affidabili, e l’esistenza di un reboot (ma in realtà un sequel) della miniserie, realizzato nel 2014 e condotto da Neil deGrasse Tyson. Sebbene ad oggi potrebbe essere facile gettarsi direttamente sulla luccicante versione del 2014, mi sento di invitare innanzitutto alla visione della serie originale. Carl Sagan riesce di fatto in un’impresa incredibile: rendere appetibile, quando non avvincente l’esposizione dello stato (allora) attuale delle conoscenze relative all’universo, al nostro pianeta e alla vita che lo popola, e del percorso decisamente non lineare con cui nei secoli la specie umana –tramite suoi eccellenti esponenti- ha svelato gradualmente i misteri del cosmo. Per uno spettatore moderno, potrà risultare un po’ faticoso abituarsi ai tempi e alla messa in scena un po’datati, ma il ritmo incalza pian piano che si prosegue nella visione (gli ultimi 4 episodi sono davvero incredibili) e soprattutto le doti comunicative di Sagan restano imbattute anche da un divulgatore contemporaneo e scoppiettante come deGrasse Tyson. Tredici ore passate con Carl Sagan sono un’occasione davvero da non perdere

Nota 1: è possibile trovare l’intera serie, con un riediting direttamente su youtube.

Nota 2: potrei stare ore a sentire Carl Sagan parlare in egiziano o imitare il verso delle balene.

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Cosmos_spacetime_odyssey_titlecardCosmos: A Spacetime Odissey (Druyan, Soter -2014)

Dagli autori della serie originale arriva una nuova edizione con al timone Neil deGrasse Tyson (direttore dell’Hayden Planetarium del Rose Center for Earth and Space di New York) e con Seth McFarlane (Family Guy, American Dad) fra i produttori esecutivi.  Come dicevo questo remake ha in effetti il sapore di un sequel (ammesso che sia possibile usare questi termini per una miniserie a tema scientifico). Non solo vi sono diversi richiami alla serie degli anni ottanta (con temi ed esempi ricorrenti, con l’espediente narrativo di una Ship of the imagination che può varcare le soglie del tempo e dello spazio, e con segmenti audio-video del materiale originale) ma deGrasse Tyson crea un vero e proprio punto di contatto “personale” ed emotivo, avendo avuto modo da giovanissimo, di conoscere di persona Carl Sagan durante incontro tanto importante per le sue scelte future che viene addirittura messo in scena, quasi a raccogliere l’eredità dello scienziato scomparso e segnare il passaggio di staffetta con la serie madre. Ma A Spacetime Odissey non si ferma alla rielaborazione degli stessi contenuti, arricchendo il racconto con la ri-scoperta di altre figure storiche, realizzata ricorrendo a segmenti animati dallo stile volutamente stilizzato e fumettistico. A ciò si somma il fondamentale apporto del comparto tecnico, sia per la spettacolarità degli effetti speciali che per le soluzioni grafiche scelte per rendere più agibile la comprensione di concetti spesso di non facile portata (specialmente per quando si va ad indagare l’estremamente piccolo – basti pensare alla spiegazione del processo di fotosintesi o della natura e del “comportamento” degli elettroni, per non parlare della raffinatissima spiegazione dell’evoluzione dell’occhio).

Lì dove Sagan si avviava alla conclusione della serie ammonendo gli spettatori sulle conseguenze pericolose dello stile di vita adottato dalla società moderna, deGrasse Tyson dedica gli ultimi due episodi ad un’analisi dettagliata delle concrete ripercussioni del cambiamento climatico indotto dall’uomo (e dell’allarmante negazionismo che questo tema solleva) con uno sguardo al futuro che si sforza di vagliare o meglio sognare cosa potrebbe diventare la civiltà umana se operasse seguendo delle semplici ma fondamentali linee guida per un pensiero scientifico sano, condiviso e a lunga progettualità.

Nota 1: Neil deGrasse Tyson ha un attivissimo account twitter (su FB avete probabilmente visto girare le sue micro recensioni di Gravity e Interstellar relative alla loro accuratezza scientifica) e conduce un altro programma (che mi tocca recuperare) che si intitola Star Talk.

Nota 2: la colonna sonora di Alan Silvestri merita di essere ascoltata. Davvero stupenda.

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Poster-Art-for-Person-of-Interest-Season-3Person of interest (Jonathan Nolan – 2011)

È stata necessaria la sponsorizzazione di almeno due persone per convincermi a recuperare tutto d’un fiato Person of interest superando la mia diffidenza per il tema (che non avevo ben compreso) e per Jim Caviezel. Per chi non seguisse la creatura di Nolan, siamo in una realtà molto simile alla nostra, (forse un immediato futuro, chi può dirlo) in cui un programma di sorveglianza creato dall’ingegnere Harold Finch (Michael Emerson) si impegna a segnalare imminenti criticità, consentendo ai protagonisti di intervenire prima che sia troppo tardi. In questa parziale premessa c’è veramente poco di quello che Person of interest è e soprattutto diventa. Partendo come classico procedurale disimpegnato, già nella prima stagione si notano elementi poco comuni in prodotti simili: vengono rapidamente gettate le basi per delle trame dal respiro più ampio e l’ombroso protagonista, l’ex agente della CIA John Reese (Caviezel), viene risolto quasi completamente. Dalla seconda stagione in poi, Person of interest ha semplicemente un effetto valanga, il numero di personaggi e trame aumenta con una velocità tale da bruciare (o meglio “sfruttare perfettamente”) filoni che in altre serie sarebbero stati fonte di decine e decine di episodi. E così la serie può consentirsi di confezionare finali midseason dalla forza di finali di stagione (se non di serie), senza paura di restare a corto di idee. Con la graduale riduzione dei filler, si arriva ad una quarta stagione che è praticamente composta da sola trama orizzontale. Sono davvero troppe le cose da dire, su un prodotto che pur concedendosi prepotenti incursioni nel registro del fumetto super-eroistico urbano e dell’action fracassone, resta con i piedi ben saldi in una costante esplorazione del tema dell’uomo in rapporto alla macchina e ad una tecnologia che occupa un sempre maggiore spazio nella nostra quotidianità, fagocitando il concetto stesso di privacy e mettendo in discussione il rapporto gerarchico fra inventore e invenzione.

Nota: ci si lamenta spesso dell’assenza di personaggi femminili forti e/o sfaccettati nella televisione e nel cinema. Ecco, Person of Interest basta da solo a far impennare le statistiche con un carnet di attrici e personaggi che oscillano fra l’interessante e il memorabile.

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228379Utena, la fillette révolutionnaire (Be-Papas, Chiho Saito, Kunihiko Ikuhara -1997)

Riaperto il file cartoon, sono finalmente riuscito a ripescare una serie degli anni novanta, che aveva suscitato al tempo tanto scalpore. Utena (che oltre ad un anime è un film, è un manga, è un videogioco e addirittura un musical) racconta la storia di una ragazza che, salvata da bambina da un principe ne resta tanto colpita da decidere di impersonarne il ruolo, adottando la divisa maschile dell’istituto scolastico che frequenta. Quando per puro caso interviene in un litigio fra il capitano del club di kendo e la taciturna Anthy Himemiya, viene involontariamente coinvolta in una serie di incontri di scherma con i membri del consiglio studentesco, i quali, seguendo le direttive di una misteriosa entità nota come Il Confine del Mondo, si contendono il dominio su Hymemiya (la sposa della rosa). Il loro scopo è ottenere il potere di Rivoluzionare il Mondo.

La serie animata – affidata al team che lavorò a Sailor Moon- consta di tre saghe (più un ciclo conclusivo), e si propone di raccontare, con il pretesto dei duelli, le storie di diversi personaggi (i membri del consiglio studentesco) prima introducendoli direttamente, poi collateralmente (con il coinvolgimento nei duelli di comprimari connessi ai protagonisti) e infine ritornando ai duelli diretti che chiudono le parabole di tutto il “cast”. Altro evidente obiettivo della storia è quello di rimettere i discussione i canoni classici della struttura della favola: il principe e la principessa sono di fatto due ragazze, due amiche (amanti nel film), la damsel in distress è tacciata di essere una strega, e il principe svolge il ruolo dell’antagonista. Sebbene la corsa sia davvero lunga –troppo lunga- e la dinamica dei combattimenti totalmente prevedibile e dal secondo ciclo in poi piuttosto ripetitiva (con intere sequenze meccanicamente riproposte in ogni episodio), la serie vince su altri fronti: innanzitutto per l’estetica volutamente carica e trasognante, esempio ne sia l’immagine dell’arena degli scontri, nascosta al di là di una fontana dalla foggia di una rosa di pietra ed illuminata dai fari di un castello sospeso sottosopra nel cielo; apprezzabile inoltre il tentativo di indagine psicologica, che diventa addirittura figurativa con uso sempre più intenso di allegorie e simboli che, talvolta con intenti comici, invadono la scena senza che i personaggi quasi vi facciano caso (si pensi al ricorrente elemento degli ascensori, delle automobili da corsa o del teatro delle ombre); in chiusura va segnalata l’esistenza di un registro comico (legato principalmente al personaggio di Nanami) quasi parallelo, che segue il classico tono demenziale della comicità giapponese e che sebbene spesso sia molto efficace (come ad esempio nell’episodio 8, “Il magnifico scherzo del curry”) finisce col disorientare lo spettatore, inserendosi in una serie che parla principalmente di abuso e prevaricazione fisica dell’uomo sulla donna, di manipolazione di volontà deboli e di rapporti interpersonali deviati che sfociano addirittura nell’incesto.

Non credo che quella di Utena sia una storia che meritasse di essere raccontata così tante volte con così tante varianti… ma consiglio di sperimentarne almeno una (dalla breve documentazione che ho raccolto, direi di andare per la serie tv, che si prende tutto il tempo per meglio cesellare i personaggi).

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g399jxvlp8r9s8eshpyoOver the garden wall (Patrick McHale, 2014)

The Unknown è un mondo brumoso e ostinatamente autunnale. Per le sue vie, costeggiate da alberi contorti e minacciosi, si muovono Wirt e Greg, due fratelli sperduti, vestiti in modo (in)spiegabilmente buffo, alla ricerca della via per ritornare casa. Alla incontenibile spensieratezza infantile di Greg, e alla razionalità a tratti demotivante di Wirt si unisce la voce caustica e pragmatica di Beatrice, un uccellino azzurro parlante. Il viaggio lungo dieci episodi da dieci minuti l’uno, conduce lo spettatore nelle atmosfere sinistre delle fiabe mitteleuropee del 18esimo secolo, con continui richiami alle tradizioni anglosassoni di Halloween, alla animazione degli anni trenta e ai musical degli anni 50, fino concedersi qualche riferimento alle opere del maestro Miyazaki. Over the garden wall riesuma quel gusto classico delle fiabe di una volta (quelle che nelle trasposizioni odierne vengono sottoposte a intense operazioni di lifting), che allo scopo di ammonire i bambini non disdegnavano situazioni grottesche quando non orrorifiche. Tra case infestate, animali parlanti, streghe schiaviste, taverne inquietanti, e creature oscure che si aggirano nei boschi impossessandosi dell’anima dei viandanti – il tutto accompagnato da una colonna sonora perfettamente in tema e inframezzata da molti pezzi cantati- Over the garden wall più che una miniserie è un vero e proprio film da mandare giù in un sol boccone (come farebbe ogni avida strega cannibale che si rispetti) a riprova che l’animazione, anche quella dal gusto estetico meno realistico, può essere un media perfetto per veicolare prodotti pienamente leggibili e godibili solo da un pubblico adulto.

Nota1: tra le curiosità –oltre al cast di voci originali con moltissime guest- va’ detto che la serie presenta diversi esempi di forshadowing e numerosi indizi sparsi negli episodi che aiutano a capire anzitempo cosa stia davvero succedendo e dove effettivamente si trovino i protagonisti.

Nota2: qui è possibile trovare una precisa guida a tutti i riferimenti inseriti nella serie.

Nota3: quale miglior periodo per vedere questa serie che fine ottobre, sorseggiando una bella cioccolata calda?

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LIBRI

ubikUbik (Philip K. Dick – 1969)

Prima esperienza cartacea con Dick (lo so, è criminale). Temevo che la presenza di varie trasposizioni cinematografiche delle opere dell’autore potesse rendere la lettura poco originale, quasi prevedibile. E invece stoltamente sono cascato nel gioco delle tre carte messo in piedi dallo scrittore. In un 1992 futuristico in cui individui dotati di poteri psi minacciano l’ordine e la privacy con veri e propri atti di spionaggio, seguiamo le orme di Joe Chip e della squadra di neutralizzatori guidata dalla figura patriarcale di Glen Runciter. Neanche il tempo di abituarsi al setting che qualcosa, durante una delle operazioni, va in modo terribilmente storto. Un incidente, forse una trappola, e da quel momento in poi quel mondo futuristico viene irrimediabilmente compromesso. All’inizio sono solo piccoli indizi che suggeriscono ai protagonisti il senso di imminente catastrofe: un caffe avariato, del tabacco troppo vecchio, una valuta non più in circolazione. Poi, tutto si distorce in una doppia direzione, un progressivo decadimento del mondo circostante verso un passato sempre più remoto da un lato, e una ipnotica reiterazione di un concetto ignoto, Ubik. Basta davvero poco per iniziare a condividere l’angoscia dei protagonisti e il loro crescente sospetto per l’autenticità del mondo che li circonda. Eppure la risposta è lì di fronte agli occhi del lettore, e lo è sempre stata fin dall’inizio… oppure no?

bryson_breve_storia_quasi_tutto2Breve storia di (quasi) tutto (Bill Bryson, 2003)

Come Cosmos nelle sue due edizioni anche l’antologia di Bill Bryson sul “tutto” non ci porta lontano da dove siamo eppure ci porta lontanissimo (nel tempo e nello spazio). Scrittore –non totalmente per scelta- di viaggi, Bill Bryson raggiunta dovuta notorietà è riuscito a convincere il proprio editore a realizzare un’opera che rispondesse a tutte le possibili declinazione di una domanda fondamentale: cosa so del mondo? Cosa del pianeta in cui vivo, della sua età, dei fenomeni che lo interessano, della vita che vi brulica e soprattutto del cammino dell’uomo per svelarne i segreti? Ne è venuta fuori un’opera la cui bibliografia basterebbe a tenere impegnato un lettore per anni, in cui teorie scientifiche e grandi scienziati – del passato e del presente- vengono raccontati in modo semplice ma non banale. Con ampie parentesi (o meglio premesse) relative al percorso personale degli uomini e delle donne che hanno firmato svolte storiche nella ricerca, sottolineando le difficoltà incontrate, le vittorie e le terribili sconfitte, nonché una diffusissima resistenza e impermeabilità del mondo loro contemporaneo alle nuove idee, con esiti a volte tragici. Il tutto sulla frequenza dell’irresistibile ironia dell’autore. Così come in Cosmos, ci si sente sciocchi a non aver mai visto sotto questa nuova luce un insieme di conoscenze che non è certo inedito. Si viene spesso sopraffatti dal senso di inconsistenza di ogni nostro atto come singolo e come specie, eppure schiacciati da tanta magnificenza, e colpiti da un certo distacco per tutto quello che la realtà ci offre, non è con aria sfiduciata che si spegne la lampada da lettura. Avere avuto la fortuna di leggere questo libro in concomitanza con la visione di Cosmos, ha sicuramente permesso di mettere a fuoco una prospettiva della realtà che ci rende non insignificanti ma inestimabili tasselli di un mosaico infinito in cui non siamo il centro e non siamo l’inizio ma solo una parte. Non a caso Bryson chiude l’opera, come Sagan e DeGrasse Tyson concludono la serie TV, con un invito a ricordare che per quante vite, mondi e universi paralleli possiamo immaginare, allo stato attuale sappiamo solo con certezza che siamo tutti qui, su un piccolo piccolo mondo, e che lo stato di conoscitori di noi stessi e dell’universo benché possa farci sì illudere di essere in una posizione di incontestabile primazia è in realtà un ruolo delicatissimo e una grande responsabilità per la salvaguardia del pianeta su cui viviamo e della vita di cui siamo solo un piccolo esempio… vita che può continuare anche in caso di nostra futura (e possibilmente autoindotta) scomparsa.

copertina calvinoIl barone rampante (Italo Calvino – 1957)

Dopo i caleidoscopici viaggi delle Città Invisibili, e le disavventure di un visconte chirurgicamente diviso in due da una palla di cannone, mi sono avventurato nella vita di un baronetto – Cosimo Piovasco di Rondò- che deciso a rifiutare le solide regole impostegli dallo status e la convivenza forzata con un contesto familiare opprimente decide di salire su un albero e di non mettere mai più piede a terra. È un cambio di prospettiva che può sembrare minimale, e che invece conduce il lettore in un territorio a metà tra una seria analisi di come, praticamente, potrebbe essere declinata la vita di un uomo (quanto meno di un uomo del 1767) se condotta interamente in una dimensione arborea, ed una divagazione sempre più originale e favolistica di un mondo verdissimo e bucolico ma politicamente e socialmente tumultuoso. Basti pensare alla famiglia di Cosimo, con una madre ossessionata dallo stile di vita militaresco e una sadica sorella monaca che si diletta ricette raccapriccianti; alla vivace popolazione di Ombrosa, con furfanti ispirati da insaziabile sete di lettura, trafficanti ottomani, esuli spagnoli costretti a vivere sugli alberi, fino ad arrivare ad un esercito tanto ozioso e impigrito da essere ricoperto dal muschio. Tutto questo ovviamente senza tener conto delle conseguenze travolgenti di un amore impossibile –con una donna obiettivamente impossibile- forse anch’esso metafora della difficoltà del compromesso fra uomo e donna, fra regole convenute e autoaffermazione, e della –a volte insuperabile- distanza del sé con l’altro.

cover (1)Il mistero delle tre querce (Edgar Wallace – 1924)

Per chiudere l’estate non c’è nulla di meglio di un piccolo giallo casuale. Non avevo mai letto Edgar Wallace, e le prime pagine con la presentazione dei due fratelli, Socrates e Lexington Smith, sembravano promettere sano intrattenimento. Devo ammettere che le premesse tendono a sgonfiarsi nell’esecuzione. Invitati nella villa di un ex poliziotto, vecchio amico di Socrates, per una inaspettata rimpatriata, i protagonisti verranno coinvolti in un omicidio dalle dinamiche sospette e in una serie di inspiegabili aggressioni. Tra incendi, diari segreti rubati, ville campagnole riadattate a prigioni e le tre imponenti querce dove si consumano buona parte delle malefatte, questo giallo permette di svagarsi senza offrire però mai grandi sorprese e perdendo mordente ogni volta che non è in scena il sarcasmo brillante del protagonista (specialmente considerando che il comprimario femminile è di una banalità sconfortante).

1426692824_AnnientamentoAnnientamento (Jeff VanderMeer – 2014)

Prima ufficiale incursione nel mondo della weird fiction, che ho sempre spocchiosamente guardato con una certa diffidenza. Annientamento è finito nelle mie mani per il solito mix di consigli ricevuti da fonti autorevoli e da una promozione efficace (vedere le bellissime copertine, perfide e studiatissime esche per il lettore innocente). Primo capitolo di una trilogia che parla della misteriosa Area x –una zona degli Stati Uniti in cui pare essersi verificato un evento di natura ignota che continua a generare fenomeni apparentemente inspiegabili e minacciosi- Annientamento si concentra su una delle spedizioni (la undicesima… forse) inviata all’interno dell’area per indagarne lo stato, il tutto dal punto di vista della biologa (di cui non sapremo mai il nome) espresso tramite le pagine del suo diario di viaggio. Con ben più di un prestito da colossi narrativi come Lost, Annientamento conduce –con estrema velocità- in una situazione di disagio, personale e ambientale, nel momento in cui la squadra (composta da quattro donne) si trova a dover affrontare da subito un problema fondamentale: l’esistenza di una struttura non segnata nella mappa, e di cui non vi è traccia in alcun rapporto delle squadre precedenti. Da qui in poi si svilupperà una catena di eventi –inutile dire degenerativa- che permetterà a noi lettori di raccogliere indizi sulla Area X, ma soprattutto di conoscere di riflesso il personaggio della biologa, la sua storia, le ragioni che l’hanno portata in quel luogo pericoloso, risolvendo forse così il mistero più importante. Perché in fondo gli strumenti del fantasy o della fantascienza a cosa servono se non a raccontare la realtà che conosciamo seppur in una chiave alternativa e distorta? Impossibile, come dicevo, non notare i molti richiami a Lost: la natura selvaggia che mostra anomalie e tratti disturbanti; un’organizzazione scientifica dagli interessi e scopi poco chiari; un senso di crescente sospetto e sfiducia per i compagni; nonché, soprattutto, la presenza di flashback occasionali che pian piano svelano il passato della protagonista. Sebbene paradossalmente sia stata proprio la parte immaginifica a non affascinarmi –e dico paradossalmente perché da parte di un romanzo weird diventa problematico quando le “stranezze” risultano poco originali, o addirittura esposte in maniera confusa-  di contro è stata proprio la parte “normale” del racconto, con i suoi luoghi desolati e le sue dinamiche personali al limite del paranoico, a far centro. Annientamento ha aperto una piccola fessura in cui lentamente e inesorabilmente il libro si è insinuato e radicato, proprio come un’aliena contaminazione, tanto che arrivato a metà ho sentito la necessità di finirlo in tutta fretta e chiudere questa piccola opera affascinante ma in qualche modo sinistra. Ovviamente mi procurerò a breve gli altri due titoli della saga, Autorità e Accettazione.

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978880618914MEDLa mente animale (Enrico Alleva, 2007)

Alleva raccoglie in questo libro una serie di articoli pubblicati fra gli anni ‘90 e i primi del duemila, una collezione piuttosto variegata che passa in rassegna episodi autobiografici (come l’amicizia con il pavone Ginetta, o il viaggio in Patagonia), esempi delle applicazioni pratiche degli studi etologici nella vita dell’uomo (lo studio di patologie e problemi neuronali tramite test che coinvolgono topi e ratti) fino a vere e proprie esplorazioni del mondo animale nelle sue varie espressioni. Il libro manca forse di una cornice efficace, di un filo che guidi il lettore dall’inizio alla fine ma resta una lettura ricca di sorprese, con numerosi esempi relativi ai fenomeni aggregativi, alle abitudini di coppia e di accoppiamento, ai sistemi di comunicazione e a quelli difensivi, che con tanta varietà si manifestano nel mondo animale. Particolarmente illuminante poi la lunga parabola relativa al cervello umano, che mette in discussione la classica impostazione dell’evoluzione lineare del cervello umano secondo tre stadi successivi (il cervello primordiale dell’anfiosso e dei pesci, quello rettiliano e quello dei mammiferi), per raccontare una storia diversa, quella cioè si un organo che non ha vissuto una nobilitazione progressiva seguendo un percorso già tracciato ma si è sviluppato in dipendenza del mutare delle circostanze ambientali e del liberarsi di nuove nicchie ecologiche, spiegando come la vita, quando si fa pioniera di un nuovo ambiente, cambia, si adatta e si trasforma a seconda delle necessità.

c747cc8b56680e90230c05ca62595ee1_w600_h_mw_mh_cs_cx_cySette brevi lezioni di fisica (Carlo Rovelli)

Il piccolo tomo Adelphi svettato nelle classifiche quest’estate è stato una tentazione troppo forte per non essere agguantato al volo. Quale miglior convinzione di quella di poter memorizzare dei principi di fisica esposti in modo semplice, per di più a completamento di quell’involontario percorso di ripasso/ripetizione delle mie scarne nozioni scientifiche iniziato con Cosmos e Bill Bryson? Eppure l’esperienza è stata un po’ deludente. Probabilmente non per il libro in sé ma per la tempistica. Si tratta di un libriccino che sarebbe andato bene come antipasto alle suddette opere, ma alla luce di quella visione/lettura e soprattutto dell’ingegno ed efficacia espositiva di deGrasse, Sagan e Bryson, le soluzioni e gli esempi scelti da Rovelli si sono rivelati poco efficaci, soprattutto poco incisivi. A volte la semplificazione è tale che nell’esporre quanto sia difficile spiegare quel dato concetto l’autore finisce per non spiegare nulla (o nulla che colpisca veramente il lettore).

3264684-01Agito Cosmos (Olivier Milhaud, Fabien Mense – 2012)

Nella città di Istanbul un detective indaga sui traffici illeciti di un truffatore. Nelle profondità oceaniche, degli scienziati cercano di raccogliere informazioni sugli abitanti di città sommerse; in un piccolo villaggio di pescatori Alfonsino si prepara a superare una prova che segna il passaggio all’età adulta. In sottofondo un misterioso evento che ha cancellato la civiltà umana, ogni testimonianza della quale giace sotto il livello del mare, e la leggenda di una popolazione venuta dalla stelle che ha ricondotto l’umanità sulla via del progresso. Questi gli ingredienti per il frizzante fumetto scritto da Olivier Milhaud e disegnato Fabien Mense. Prevedibilmente le storie dei protagonisti tendono a confluire verso un’unica linea narrativa, in un’indagine volta a scoprire il segreto di misteriose pietre che sembrano dotate di poteri sovrannaturali. I primi due volumi sono una vera e propria introduzione e anche se le premesse non sembrano delle più originali, il costante movimento della telecamera che tocca rapidamente i vari protagonisti, l’agilità dei dialoghi, e l’adorabile design di Mense -completato da una colorazione digitale leggera ma efficace che simula l’acquerello- sono una vera leccornia per gli occhi. È un piccolo mondo in crescita quello di Agito Cosmos, con i suoi mercati affollati, le sue rocce fluttuanti e le creature grottesche che dominano le profondità abissali. Non resta che attendere i prossimi volumi.

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1515042_10152139385003724_34430588_nSi dà il caso che (Fumio Obata – 2014)

Amore a prima vista per questa graphic novel di Fumio Obata, che ho a lungo creduto essere autobiografica prima di scoprire che a differenza della protagonista, l’autore è un uomo (ci sarà qualche giapponese convinto che Giuseppe Perdichizzi sia un nome femminile, no?). Yumiko è una giapponese che vive a Londra da… cielo quanti anni saranno ormai? La vita va bene, ha un ragazzo con cui deve sposarsi e si sente entusiasta della moltitudine di persone ed etnie che si incrociano nella capitale britannica (salvo istintivamente scansare gli altri giapponesi che incrocia per strada). Un grave lutto la costringe a ritornare in Giappone, e a reimmergersi nel cuore di quelle tradizioni –e di quei formalismi- che credeva così lontani ed superflui. Ossessionata dall’immagine ricorrente di un attore del teatro Nō, comincia a riflettere sulla propria vita e sul suo imminente futuro, ponendosi interrogativi di cui fino a quel momento aveva creduto di avere le risposte. Quest’opera, che più che sulle distanze geografiche, si sofferma su quelle culturali, mi ha particolarmente colpito, oltre che per la maestria del tratto dell’autore -con tendenze umoristiche e una resa che a volte sembra fermarsi allo sketch-, per il gioco di prospettive e per l’immancabile momento del “dover tirare le somme della propria vita”, in cui ognuno prima o poi si imbatte. A parte il fondamentale ruolo della filosofia del teatro Nō (davvero lontana dalle nostre tradizioni e dal modo di pensare occidentale) è difficile non vedere più di un punto in comune con Yumiko e con il dilemma esistenziale: ritornare a casa è un passo indietro o un passo avanti? Una domanda che in tanti si faranno e la cui risposta può variare di significato a seconda della fase della propria vita in cui l’interrogativo viene posto.

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VIDEO GAMES

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In Austria nel 1895, la piccola Aurora, orfana di madre e figlia del duca dei cinque colli, partecipa alle seconde nozze del padre. Quella stessa notte però accade qualcosa di strano, la piccola Aurora viene ritrovata immobile e fredda nel proprio letto. Al suo risveglio, come per magia la bambina realizzerà di non essere più a casa ma altrove, nel mondo di Lemuria. Come è facile intuire questo mondo fatato non se la passa benissimo, invaso com’è da orde di creature oscure. Grazie ad una spada magica che Aurora brandisce con le sue braccia minute, e grazie all’aiuto dello spirito elementale Igniculus, la giovane protagonista dovrà riportare armonia nel regno di Lemuria e cercare di ritornare nella città natia minacciata da una calamità naturale. Il mondo di Lemuria colpisce il giocatore innanzitutto sul fronte grafico, avendo gli autori deciso di rappresentare l’intero gioco come un libro di favole illustrato e acquerellato (quasi con effetto popup), unico elemento di estraneità, la stessa Aurora il cui manichino 3D spicca rispetto agli altri personaggi, quasi a voler sottolineare la sua non appartenenza a quei luoghi. Dall’altro lato ad affascinare è il mondo in se stesso, popolato da creature stranissime fra cui (per citarne solo alcune) gli Aerostati, un clan che vive in un complesso sistema di mongolfiere; il magico clan dei Capilli –dotati di barba già da giovanissimi- tramutati tutti in corvi per via di una maledizione; per non parlare dei Bolmus, topolini dediti solo al commercio e al profitto che abitano la ricchissima città di Bolmus Populi, costruita sulle spalle di un gigantesco golem errante. Anche qui, come in Utena si ripropongono gli stilemi della favola della buona notte, anche qui c’è una rimescolanza di ruoli – con la principessina (addirittura con lo stesso colore di capelli di Utena) che brandisce la spada e non mostra timore- eppure i due titoli non potrebbero essere più diversi, a riprova di come la rielaborazione di un tema o di un canovaccio classico non scadano necessariamente nella ripetizione portando ad esperienze visive e narrative decisamente inconfondibili.  Child of light grazie al taglio illustrativo strizza l’occhio ad un pubblico di giovanissimi, ma al contempo spiazza con risvolti di trama tutt’altro che zuccherosi. Come le favole di una volta ha una fibra profondamente malinconica e a tratti drammatica. A livello meramente tecnico mescola caratteristiche proprie del gdr a quelle del platform, e ha un sistema di combattimento particolarmente congeniale per due giocatori (il ruolo di supporto di Igniculus è infatti gestibile al meglio solo grazie all’intervento di una seconda persona). Unica pecca, una certa brevità della storia priva di un numero soddisfacente di sidequest e un ultimo atto che subentra un po’ all’improvviso, risolvendo la storia frettolosamente.

Nota1: Nulla è lasciato al caso, la bellissima colonna sonora composta dall’autrice Cœur de pirate, non sfigurerebbe in un film d’animazione.

Nota2: Una delle sotto-missioni comporta la raccolta degli scritti, decisamente poco chiari, di tale Sophie Ashton Ellis, personaggio che non incontreremo mai. Non si riesce davvero a venirne a capo, tanto che sembra probabile si tratti di una piccola breccia nel futuro sequel del gioco.

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The-Last-Of-UsThe last of us (Naughty Dog, 2013)

Spesso accade che le trasposizioni cinematografiche di titoli videoludici siano incomprensibilmente deludenti. Basti pensare al rapido declino di Tomb Raider (che aveva quantomeno azzeccato l’attrice protagonista), per non parlare della saga di Resident Evil, un vero disastro se si conosce la complessità di trama e le atmosfere dell’opera originale. Talvolta accade invece che la trasposizione di archetipi e (diciamolo) di stereotipi di genere, dal grande schermo alla console, possa riservare grandi sorprese. The last of us inizia come il più classico dei film a tema zombie. In piena notte la città va nel panico e il protagonista in fuga con la famiglia riesce a mettersi in salvo dopo una grave perdita personale. Il salto temporale di oltre vent’anni ci catapulta in una dimensione post apocalittica delle più classiche. Gli esseri umani barricati in delle roccaforti che si tengono al sicuro dalla epidemia fungina (di questo si tratta. Di funghi) che causa diversi stadi degenerativi negli infetti, dalla psicosi violenta a vere e proprie mutazioni genetiche. Il protagonista, Joel, si troverà a dover scortare la giovane Ellie fino alla sede dell’organizzazione segreta Fireflies, essendo la ragazza l’unica speranza per l’umanità. Su queste basi, tutt’altro che originali, si vanno ad inanellare una serie eventi e di personaggi che pur avendo il destino scritto in fronte (la compagna di viaggio badass, il militare paranoico, la famiglia di superstiti che fa da contraltare ai protagonisti, una variegata accozzaglia di sopravvissuti trasformatisi per necessità in cacciatori di uomini)  tutti e in tutte le situazioni riescono a manifestare quella scintilla in più –che sia una linea di dialogo o un loro tratto distintivo- quel tocco di furbizia da parte deli autori che rende i personaggi un passo più vicini al mondo reale e uno più lontani dal mondo delle sagome di cartone. Ma la vera sorpresa è sicuramente lo svolgimento della seconda parte del gioco (che coprendo un intero anno di avventure possiamo circoscrivere all’inverno e alla primavera), in cui finalmente si svela il cuore del gioco stesso, in cui la caccia all’uomo, la pandemia zombie e tutta la sovrastruttura catastrofica/fantascientifica lasciano del tutto spazio al legame magistralmente costruito fra Joel ed Ellie, un vincolo dalla forza estrema, violenta se necessario e che, nel finale, lascia aperti infiniti scenari.

Nota: Pare che sia in produzione l’adattamento cinematografico… mossa azzardata che rischia di tradurre questo gioiellino videoludico in un’ennesima rimasticazione sul tema.

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Title-Screen-from-Monument-Valley-Game-with-Castle-LevelMonument valley (Ustwo, 2014)

Chi lo avrebbe detto che una app prodotta dai creatori di Whale Trail (un giochino su una balena che sprizza arcobaleno dal posteriore…) riuscisse a occupare un posticino speciale nel mio cuore. Immaginiamo un mondo in cui lo spazio non segue le regole della percezione fisica cui siamo abituati, dove tutto cambia e muta a seconda di dove lo si guardi. Dove un’illusione ottica diventa realtà, se solo lo si vuole. Tutto questo è Monument Valley, un gioco che più che omaggiare M. C. Escher, prende a piene mani dalle sue opere e le trasforma in dungeon videoludici, dalla grafica semplice e incantevole e una sapienza cromatica che rende ogni schermata una piccola opera d’arte (non a caso è possibile fotografare il gioco in qualsiasi momento, essendo un continuo generatore di sfondi per cellulare). Ma Monument Valley non si limita a questo, fa anche un piccolo sforzo narrativo (lo stretto necessario) raccontando la storia della principessa Ida, dalle sembianze di un piccolo Pierrot, che macchiatasi del furto delle sacre geometrie dal regno, ha causato la caduta del proprio popolo. Del glorioso passato restano testimoni solo i monumenti abbandonati, invasi dal fastidioso popolo dei corvi. Di recente è uscita una piccola espansione “Forgotten shores” (ancora più folle del set di livelli originali) che intelligentemente sembra porsi “in mezzo” alla storia già raccontata, come una parentesi inizialmente omessa, che si chiude poco prima dell’ultimo livello e che aggiunge un po’ di dramma alle vicende della principessa e del personaggio comprimario – un totem giallo brillante con un solo occhio vispo, elemento fondamentale per alterare ulteriormente le prospettive dei livelli. Ida, ammonita dai fantasmi dei Saggi è ritornata nel regno perduto per rendere il maltolto e scoprire la propria natura dimenticata. In tal senso è davvero divertente notare come l’identità di Ida possa essere intuita fin dalla sua silhouette, che una volta decifrata ci rivela come la principessa stia letteralmente facendo un percorso a ritroso per porre rimedio ai propri errori.

Ecco uno dei livelli migliori.

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